sabato 1 febbraio 2014

LE AQUANE, NINFE DAI CAPELLI D'ACQUA


Parlandovi della mia esperienza nel famoso Parco delle incisioni rupestri dei Camuni ho citato le Aquane di cui avevo avvertito e visto la presenza e che allora non ne conoscevo l'esistenza come “esseri del mito”. Così ho pensato di raccogliere i dati e di parlarne in questo spazio a loro appropriato.
Per tradizione orale e pare alludere ai culti delle acque tanto cari alle popolazioni protostoriche di area celtica e alle leggende che nelle Alpi centro orientali ci parlano ancora di fanciulle dai capelli d'acqua, dotate di alcuni tratti umani ed altri a volte soprannaturali, se non addirittura semi divini, sono diffuse quanto meno in tutte le Venezie e nella Lombardia orientale, e sono probabilmente imparentate con le ninfe greche e latine, forse anche con le samodive o samovile balcaniche. Esse sono conosciute sotto nomi diversi: angane, agane, longane, gane, aquane, naquane, aivane, vane o vivane o valdane, e nelle zone di tradizione germanica sàighele, bàibele , hanno conservato delle antiche ninfe un’associazione specifica all’elemento acquatico, cioè a fiumi, ruscelli, laghetti, tanto da essere talora assimilate alle lontre.
Le Aquane, calme e gentili abitatrici di terre fatate, sono capaci di predire il futuro e di ricordare il passato, ma non conoscono il presente; e in molte leggende celtiche, questi spiriti dell'acqua, in forma di donne bellissime, attirano gli umani nell'Aldilà, facendo loro smarrire il senso del tempo. Questi spiriti dell'acqua appartengono al popolo fatato della Dea Dana, ovvero al Sidhe, un mondo parallelo, le cui entrate si trovano sotto i poggi e nei pressi dei dolmen e delle fonti
Protettrici benevole dell’uomo nonché custodi di immensi tesori, ma ambigue, misteriose e inafferrabili, le anguane sono tutto sommato restie al matrimonio con gli umani, cui però cedono di quando in quando, unendosi così a un semplice mortale, spesso un povero contadino rimasto ammaliato dalla loro irresistibile avvenenza. Questi improbabili matrimoni sopravvivono di solito solo fino al momento in cui il malcapitato non contravviene a qualche piccola prescrizione della sposa, insignificante ma inutilmente crudele: quella di non doverlo guardare al lume di una candela, o di non toccarle la treccia mentre dorme... Così il debole incantesimo matrimoniale si rompe e l’anguana ritorna per sempre alla sua gente.
E.d.R.7



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