martedì 6 maggio 2014

Il cantore della “gioia universale”


Rabindranath Tagore
6 maggio 1861
La nostra vita procede
dal mistero della notte
nel mistero glorioso
della luce del giorno”

Tagore detto “il Santo” un volto asciutto e pensoso, che nella vecchiaia acquisterà il fascino dolce e grave di un profeta biblico; una voce affascinante; un animo sensibile e una tale “carica” di umanità, che non poteva non esplodere nella poesia, una poesia fatta di amore: amore verso Dio, verso gli uomini, verso tutte le umili e pur meravigliose cose del creato. Questa poesia, comunque, non fu un dono ma una conquista. Una conquista preparata lentamente dapprima attraverso lunghe, sognanti contemplazioni della sublime armonia della natura, ma poi bruscamente accelerata dal contatto diretto, concreto, coi problemi più impellenti dell'uomo.
Ma attraverso tutte queste esperienze egli ebbe una consolante certezza: noi siamo immersi nella stupenda, esaltante verità del Principio Creatore, nella sua bellezza, che si manifesta tanto nella natura quanto nello spirito umano.
E questa certezza lo aiutò a sopportare la realtà del dolore. La morte gli portò via quasi contemporaneamente ciò che amava di più: la moglie e due dei tre figli. Era il dolore che entrava brutalmente nella sua vita. Eppure Tagore ebbe ancora – anche dopo la tragedia- la forza di scrivere: “Il mondo è nato dalla grande gioia e nella grande gioia entriamo dopo la morte”. I duri colpi del destino avevano creato in lui una nuova e più profonda sete di infinito, di amore universale, di silenzio colmo d'amore verso la creazione.
Nel 1913 una notizia stupì il mondo e lo stesso poeta: il Premio Nobel per la letteratura era stato assegnato al poeta indiano Rabindranath Tagore. Era la prima volta che questo onore toccava un asiatico.
In un mondo che, nel breve volgere di tre decenni, si preparava ad affrontare due guerre inumane, l'ascetica figura di Tagore, con la sua barba da profeta e lo sguardo limpido e severo, rappresentò il simbolo della fratellanza universale, della profonda umanità di chi sa vedere la divinità attraverso le creature.
I motivi poetici delle sue poesie, tutti improntati sulla natura, il dolore, la fratellanza umana, il misticismo sono vissuti attraverso questa “gioia” che penetra in tutto il creato. Questa gioia che nasce nell'essere umano dalla certezza di essere completamento immerso nella verità, nella bellezza, nell'eterna felicità della divinità, nella quale anche tutti gli uomini si scoprono fratelli e scoprono il senso della loro vita.

Per questo tutte le moltissime liriche di Tagore sembrano altrettante preghiere. Tagore in modo instancabile e gioioso ha sempre cercato dietro alla molteplicità, l'Unità, e dietro il finito, l'Infinito. Non si rinchiuse mai in un esperienza particolare, ma si avventurò alla ricerca di se stesso, da un'esperienza ad un'altra, tra spirito e materia, e come un impetuoso fiume alla fine trovò il suo oceano di Verità. 
E.d.R.7

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