Rabindranath
Tagore
6
maggio 1861
“La
nostra vita procede
dal
mistero della notte
nel
mistero glorioso
della
luce del giorno”
Tagore
detto “il Santo” un volto asciutto e pensoso, che nella vecchiaia
acquisterà il fascino dolce e grave di un profeta biblico; una voce
affascinante; un animo sensibile e una tale “carica” di umanità,
che non poteva non esplodere nella poesia, una poesia fatta di amore:
amore verso Dio, verso gli uomini, verso tutte le umili e pur
meravigliose cose del creato. Questa poesia, comunque, non fu un dono
ma una conquista. Una conquista preparata lentamente dapprima
attraverso lunghe, sognanti contemplazioni della sublime armonia
della natura, ma poi bruscamente accelerata dal contatto diretto,
concreto, coi problemi più impellenti dell'uomo.
Ma
attraverso tutte queste esperienze egli ebbe una consolante certezza:
noi siamo immersi nella stupenda, esaltante verità del Principio
Creatore, nella sua bellezza, che si manifesta tanto nella natura
quanto nello spirito umano.
E
questa certezza lo aiutò a sopportare la realtà del dolore. La
morte gli portò via quasi contemporaneamente ciò che amava di più:
la moglie e due dei tre figli. Era il dolore che entrava brutalmente
nella sua vita. Eppure Tagore ebbe ancora – anche dopo la tragedia-
la forza di scrivere: “Il mondo è nato dalla grande gioia e nella
grande gioia entriamo dopo la morte”. I duri colpi del destino
avevano creato in lui una nuova e più profonda sete di infinito, di
amore universale, di silenzio colmo d'amore verso la creazione.
Nel
1913 una notizia stupì il mondo e lo stesso poeta: il Premio Nobel
per la letteratura era stato assegnato al poeta indiano Rabindranath
Tagore. Era la prima volta che questo onore toccava un asiatico.
In
un mondo che, nel breve volgere di tre decenni, si preparava ad
affrontare due guerre inumane, l'ascetica figura di Tagore, con la
sua barba da profeta e lo sguardo limpido e severo, rappresentò il
simbolo della fratellanza universale, della profonda umanità di chi
sa vedere la divinità attraverso le creature.
I
motivi poetici delle sue poesie, tutti improntati sulla natura, il
dolore, la fratellanza umana, il misticismo sono vissuti attraverso
questa “gioia” che penetra in tutto il creato. Questa gioia che
nasce nell'essere umano dalla certezza di essere completamento
immerso nella verità, nella bellezza, nell'eterna felicità della
divinità, nella quale anche tutti gli uomini si scoprono fratelli e
scoprono il senso della loro vita.
Per
questo tutte le moltissime liriche di Tagore sembrano altrettante
preghiere. Tagore in modo instancabile e gioioso ha sempre cercato
dietro alla molteplicità, l'Unità, e dietro il finito, l'Infinito.
Non si rinchiuse mai in un esperienza particolare, ma si avventurò
alla ricerca di se stesso, da un'esperienza ad un'altra, tra spirito
e materia, e come un impetuoso fiume alla fine trovò il suo oceano
di Verità.
E.d.R.7
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