La
riconoscenza dell’Acqua come principio primo e fonte originale, per
delle popolazioni mobili, la cui sopravvivenza proviene dai suoi
benefici, viene espressa tramite la consacrazione delle fonti dei
principali fiumi dell’Europa; quelli che divennero dei santuari
della dea celtica della fertilità. Evocata dalla toponimia celtica,
questa consacrazione viene attinta da un grandissimo numero di
offerte votive – statuette, metalli preziosi, armi e oggetti
domestici – scoperti un po’ ovunque in Europa lungo il corso
d’acqua e presso i santuari situati alle loro sorgenti.
Il
fiume o il corso d’acqua rappresenta un’espressione mobile della
Madre Terra, che rende le acque sacre. È la combinazione particolare
delle diverse proprietà minerali, vegetali e volativi che emanano
certe sorgenti in certe ore del giorno e della fase lunare che ne
crea i poteri rigeneratori. Ogni luogo sacro ha il suo spirito
guardiano che veglia si di lui, osserva i riti quotidiani secondo il
cerimoniale voluto che si può materializzare sotto forma di canto,
di uccello, di pesce, in onore della dea. A volte la dea appare come
essere dei sogni, come strega, in funzione delle circostanze o delle
predisposizioni del visitatore o dell’intruso.
Questi
luoghi rappresentano il grembo della Madre Terra invocata sotto nomi
e aspetti differenti. Esistono numerose iscrizioni galliche (Gallia
Transalpina e Cisalpina – iscrizioni leponzie), indirizzate a
Gwena, Mar (antichi nomi della Dea), Brida, Brii, Bria (divenuto poi
Brighit), la Madre rappresentata sotto forma di triade – modello
che spesso viene richiamato nell’arte e nella letteratura celtica –
assieme al suo bambino e ad un cesto di frutta (simbolo di fertilità
ed abbondanza). Un’altra
rappresentazione popolare è quella della dea Epona, abitualmente a
cavallo e a volte accompagnata da un rapace.
La
Luna, con i suoi poteri sulle maree e sui cicli mestruali,
rappresenta un insieme universale di simboli; presiede ai riti
notturni legati ai canti degli animali, come il serpente ed il lupo.
La mitologia celtica la identifica con la triplice dea che presiede
le nascite, alla Vita e alla morte: triade delle giovani, delle spose
e delle donne anziane; Morrigan, Macha, Badh, Arianrhodd, Sequana.
Gli
antichi Galli, la cui teologia è scomparsa assieme alle loro
tradizioni orali, hanno lasciato delle statue anonime a due o tre
teste, che però rappresentano chiaramente simboli celtici.
In
Italia abbiamo numerosi reperti e testimonianze di tali divinità che
in alcuni casi assumono anche vesti solari, in quanto la Dea Madre
rappresenta anche queste qualità.
A
Milano, ad esempio sono state di recente scoperte statuette votive, e
basso rilievi di Belisama, divinità luni-solare, che reca accanto a
sé una scrofa semi lanuta, animale-simbolo delle sue peculiarità:
dono della guida oltre il mondo visibile, per individuare il nemeton
per costruire il santuario.
La
chiesetta di S. Calimero, come quella di S.Calogero, in via
Quadronno, erano “votate” alla Dea Belisama. La leggenda milanese
vuole che questa divinità fosse venerata durante la festività di
Beltaine, che cadeva il 1° maggio.
Altra
importante testimonianza, del culto matriarcale e della grande
importanza che rivestiva la divinità femminile, la ritroviamo nel
nome della terra di Brianza.
La
Brianza deve il suo nome all’antico termine celtico “Brià” –
derivante dalla divinità più importante che è appunto Bri, Bride,
Brighitt, o meglio nota come Briganzia.
La
zona submontana lombarda ha visto il suo splendore durante il periodo
della civiltà di Golasecca, retrodatata recentemente da approfonditi
studi, attorno al 1.300 a.C.
Presso
gli antichi Celti, i templi, le cappelle votive, venivano costruite
secondo un principio analogico/simbolico, che riporta le coordinate
celesti in terra seguendo la simbologia lunare con le sue 28 dimore.
Como
diventa il centro della civiltà di Golasecca, che si estende dalla
sponda orientale del Ticino ed arriva fino al lago di Oggiono, vicino
a Lecco.
Alcuni
reperti antichi di tale civiltà si sono ritrovati attorno alla città
di Como, nei dintorni del lago Alserio, nella pianura di Erba ed in
tutta la zona submontana del Triangolo Lariano.
Una
delle singolarità che risalta subito all'occhio è data dalle
chiesette di pochi metri quadri sparsi per tutto il territorio
sub-montano, dedicate tutte a S. Pietro: la fondazione per la maggior
parte di queste risale ai Longobardi.
Tale
dedica per analogia si riferisce alla Pietra alchemica, quindi
secondo questo concetto le chiese così disposte formano la
“mezzaluna fertile” che rappresenta la divinità Brighidh
incarnata in terra. Fertile, perché è quella divinità che più di
altre si venera e perché è colei che nutre e arricchisce la terra e
tutta la Natura.
Chiesa di San Gemonio |
Per
fare un esempio citiamo la chiesa a Gemonio, fondata da Liutprando
nel VIII secolo; S.Pietro di Albese, in località Cassano, fondata
nel 1000 d.C.; S.Pietro al Monte a Civate fondata da Desiderio
risalente al 706; Agliate vicino a Galliano, celebre per la sua
cripta ad oratorio, la cui costruzione risale alla fine del X secolo e quella a Gallarate .
Si
noti, comunque, che tutte queste chiesette furono costruite sopra
templi antecedenti, e più precisamente “Nemeton”, ossia “luogo
sacro”, risalenti appunto all’età della civiltà di Golasecca,
tutte dedicate alla divinità Belisama.
Se
si uniscono immaginariamente i punti con una linea continua, si
ottiene la figura della mezzaluna, centro di alto potere calorifico.
Tale mezzaluna è crescente, chiara simbologia ermetica del mezzo
necessario alla palingenesi umana, quale può essere il cervello,
nella sua fase di crescenza, verso la condizione di Luna Piena.
La
Pietra alchemica, quindi, simbolo anche della Acque primordiali.
Le
Acque primordiali sono identificate in tutti quei laghetti che si
incontrano nell'arco di questa mezzaluna: il lago di Varese –
Alserio – Segrino – Oggiono – Annone ed altri ancora.
Ma
la triplice dea, l’incarnazione stessa del simbolo del triskell, la
si può identificare principalmente con l’elemento Acqua, che ci
ricorda le Acque Primordiali
Un
particolare rilevante da notare è che molte chiesette antiche e
poste su dei bivi sono state edificate su templi celtici già
esistenti che probabilmente fungevano da catalizzatori per veicolare
le energie telluriche che vi confluivano. Sotto queste chiesine
scorrono spesso affluenti del fiume Lambro come per esempio a
Lasnigo, Ponte Lambro, Erba ecc. e dove sorge il fiume Lambro a Pian
Rancio è stato ritrovato un masso erratico molto grosso con due
coppelle incise.
panorama del lago di Annone dal monte Cornizzolo |
(Il rogo della Giubiana di Cantù) |
Tra
le antiche tradizioni brianzole che evocano reminescenze celtiche c’è
senza dubbio la festa della Giubiana, legata ai fuochi rituali accesi
ad Imbolc per allontanare le influenze negative e per propiziare la
fecondità del bestiame e della terra. Il nome sembra voglia dire
"Fantasma", ed è simile al trentino "zobiana",
strega, al bresciano "zobiana", sgualdrina, e deriverebbe
dal milanese "gioebia", giovedì, il giorno delle streghe.
La sera dell'ultimo giovedì di gennaio le famiglie della Brianza si
radunavano davanti ad un falò per bruciare un fantoccio di stracci e
paglia chiamato Gibiana o Gioebia o ancora Giubiana. Dopo ogni
famiglia tornava a casa e cenava con risotto giallo condito con
salsiccia (risotto con la luganega), alimenti entrambi appartenenti
alla cucina tradizionale. Il riso è beneaugurante e la "luganega"
(salsiccia) simboleggia l'opulenza.
Durante
la giornata le ragazze giravano con una gobba finta e una latta da
percuotere con il bastone. In certe zone della Brianza, accanto alla
Giubiana, era presente il Gianèe, il marito, che la accompagnava
danzando, cantando filastrocche e percuotendo il terreno con bastoni.
Una volta entrati nella stalla, benedivano il controsoffitto con il
bastone dove si trovavano i bachi da seta. Come ricompensa ricevevano
una cucchiaiata di risotto, che veniva versato nel cappello del
Gianèe. Il piatto veniva preparato dalla donna più anziana della
famiglia. Durante il giorno i contadini portavano a benedire i propri
animali, e sempre durante il giorno venivano preparati i fantocci che
rappresentavano la Giabiana e il Gianée che fine giornata venivano
bruciati: se il fuoco saliva dritto verso il cielo, la stagione si
preannunciava come feconda e propizia. Si ballava intorno al fuoco:
girarvi intorno tre volte portava bene e i bambini buttavano dei
foglietti con su scritto le cose brutte capitate durante l’anno per
far sì che il fuoco le distruggesse.
Con
l'avvento del Cristianesimo, la Giubiana passò da figura benefica,
simbolo di fecondità, a strega, simbolo del male. Distruggendo la
Giubiana il contadino si sarebbe messo al riparo da tutte le
maledizioni. Come sempre la Chiesa Cattolica per allontanare la gente dal vero distrugge la positività di una legge creativa qui sul pianeta Terra, quando pagheranno tutti coloro che dall'inizio ed ora della menzogna ingabbiano l'umanità nell'Errore e nella Paura!
-Faglia-A.G.7-
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