sabato 18 gennaio 2014

Brianza la Terra feconda della Triplice Dea

La riconoscenza dell’Acqua come principio primo e fonte originale, per delle popolazioni mobili, la cui sopravvivenza proviene dai suoi benefici, viene espressa tramite la consacrazione delle fonti dei principali fiumi dell’Europa; quelli che divennero dei santuari della dea celtica della fertilità. Evocata dalla toponimia celtica, questa consacrazione viene attinta da un grandissimo numero di offerte votive – statuette, metalli preziosi, armi e oggetti domestici – scoperti un po’ ovunque in Europa lungo il corso d’acqua e presso i santuari situati alle loro sorgenti.
Il fiume o il corso d’acqua rappresenta un’espressione mobile della Madre Terra, che rende le acque sacre. È la combinazione particolare delle diverse proprietà minerali, vegetali e volativi che emanano certe sorgenti in certe ore del giorno e della fase lunare che ne crea i poteri rigeneratori. Ogni luogo sacro ha il suo spirito guardiano che veglia si di lui, osserva i riti quotidiani secondo il cerimoniale voluto che si può materializzare sotto forma di canto, di uccello, di pesce, in onore della dea. A volte la dea appare come essere dei sogni, come strega, in funzione delle circostanze o delle predisposizioni del visitatore o dell’intruso.


Questi luoghi rappresentano il grembo della Madre Terra invocata sotto nomi e aspetti differenti. Esistono numerose iscrizioni galliche (Gallia Transalpina e Cisalpina – iscrizioni leponzie), indirizzate a Gwena, Mar (antichi nomi della Dea), Brida, Brii, Bria (divenuto poi Brighit), la Madre rappresentata sotto forma di triade – modello che spesso viene richiamato nell’arte e nella letteratura celtica – assieme al suo bambino e ad un cesto di frutta (simbolo di fertilità ed abbondanza). Un’altra rappresentazione popolare è quella della dea Epona, abitualmente a cavallo e a volte accompagnata da un rapace.
La Luna, con i suoi poteri sulle maree e sui cicli mestruali, rappresenta un insieme universale di simboli; presiede ai riti notturni legati ai canti degli animali, come il serpente ed il lupo. La mitologia celtica la identifica con la triplice dea che presiede le nascite, alla Vita e alla morte: triade delle giovani, delle spose e delle donne anziane; Morrigan, Macha, Badh, Arianrhodd, Sequana.

Gli antichi Galli, la cui teologia è scomparsa assieme alle loro tradizioni orali, hanno lasciato delle statue anonime a due o tre teste, che però rappresentano chiaramente simboli celtici.
In Italia abbiamo numerosi reperti e testimonianze di tali divinità che in alcuni casi assumono anche vesti solari, in quanto la Dea Madre rappresenta anche queste qualità.
A Milano, ad esempio sono state di recente scoperte statuette votive, e basso rilievi di Belisama, divinità luni-solare, che reca accanto a sé una scrofa semi lanuta, animale-simbolo delle sue peculiarità: dono della guida oltre il mondo visibile, per individuare il nemeton per costruire il santuario.
La chiesetta di S. Calimero, come quella di S.Calogero, in via Quadronno, erano “votate” alla Dea Belisama. La leggenda milanese vuole che questa divinità fosse venerata durante la festività di Beltaine, che cadeva il 1° maggio.
Altra importante testimonianza, del culto matriarcale e della grande importanza che rivestiva la divinità femminile, la ritroviamo nel nome della terra di Brianza.
La Brianza deve il suo nome all’antico termine celtico “Brià” – derivante dalla divinità più importante che è appunto Bri, Bride, Brighitt, o meglio nota come Briganzia.
La zona submontana lombarda ha visto il suo splendore durante il periodo della civiltà di Golasecca, retrodatata recentemente da approfonditi studi, attorno al 1.300 a.C.
Presso gli antichi Celti, i templi, le cappelle votive, venivano costruite secondo un principio analogico/simbolico, che riporta le coordinate celesti in terra seguendo la simbologia lunare con le sue 28 dimore.
Como diventa il centro della civiltà di Golasecca, che si estende dalla sponda orientale del Ticino ed arriva fino al lago di Oggiono, vicino a Lecco.
Alcuni reperti antichi di tale civiltà si sono ritrovati attorno alla città di Como, nei dintorni del lago Alserio, nella pianura di Erba ed in tutta la zona submontana del Triangolo Lariano.
Una delle singolarità che risalta subito all'occhio è data dalle chiesette di pochi metri quadri sparsi per tutto il territorio sub-montano, dedicate tutte a S. Pietro: la fondazione per la maggior parte di queste risale ai Longobardi.
Tale dedica per analogia si riferisce alla Pietra alchemica, quindi secondo questo concetto le chiese così disposte formano la “mezzaluna fertile” che rappresenta la divinità Brighidh incarnata in terra. Fertile, perché è quella divinità che più di altre si venera e perché è colei che nutre e arricchisce la terra e tutta la Natura. 
Chiesa di San Gemonio
Per fare un esempio citiamo la chiesa a Gemonio, fondata da Liutprando nel VIII secolo; S.Pietro di Albese, in località Cassano, fondata nel 1000 d.C.; S.Pietro al Monte a Civate fondata da Desiderio risalente al 706; Agliate vicino a Galliano, celebre per la sua cripta ad oratorio, la cui costruzione risale alla fine del X secolo e quella a Gallarate .
Si noti, comunque, che tutte queste chiesette furono costruite sopra templi antecedenti, e più precisamente “Nemeton”, ossia “luogo sacro”, risalenti appunto all’età della civiltà di Golasecca, tutte dedicate alla divinità Belisama.
Se si uniscono immaginariamente i punti con una linea continua, si ottiene la figura della mezzaluna, centro di alto potere calorifico. Tale mezzaluna è crescente, chiara simbologia ermetica del mezzo necessario alla palingenesi umana, quale può essere il cervello, nella sua fase di crescenza, verso la condizione di Luna Piena.
La Pietra alchemica, quindi, simbolo anche della Acque primordiali.
Le Acque primordiali sono identificate in tutti quei laghetti che si incontrano nell'arco di questa mezzaluna: il lago di Varese – Alserio – Segrino – Oggiono – Annone ed altri ancora.
Ma la triplice dea, l’incarnazione stessa del simbolo del triskell, la si può identificare principalmente con l’elemento Acqua, che ci ricorda le Acque Primordiali
Un particolare rilevante da notare è che molte chiesette antiche e poste su dei bivi sono state edificate su templi celtici già esistenti che probabilmente fungevano da catalizzatori per veicolare le energie telluriche che vi confluivano. Sotto queste chiesine scorrono spesso affluenti del fiume Lambro come per esempio a Lasnigo, Ponte Lambro, Erba ecc. e dove sorge il fiume Lambro a Pian Rancio è stato ritrovato un masso erratico molto grosso con due coppelle incise. 
panorama del lago di Annone dal monte Cornizzolo
(Il rogo della Giubiana di Cantù)

Tra le antiche tradizioni brianzole che evocano reminescenze celtiche c’è senza dubbio la festa della Giubiana, legata ai fuochi rituali accesi ad Imbolc per allontanare le influenze negative e per propiziare la fecondità del bestiame e della terra. Il nome sembra voglia dire "Fantasma", ed è simile al trentino "zobiana", strega, al bresciano "zobiana", sgualdrina, e deriverebbe dal milanese "gioebia", giovedì, il giorno delle streghe. La sera dell'ultimo giovedì di gennaio le famiglie della Brianza si radunavano davanti ad un falò per bruciare un fantoccio di stracci e paglia chiamato Gibiana o Gioebia o ancora Giubiana. Dopo ogni famiglia tornava a casa e cenava con risotto giallo condito con salsiccia (risotto con la luganega), alimenti entrambi appartenenti alla cucina tradizionale. Il riso è beneaugurante e la "luganega" (salsiccia) simboleggia l'opulenza.
Durante la giornata le ragazze giravano con una gobba finta e una latta da percuotere con il bastone. In certe zone della Brianza, accanto alla Giubiana, era presente il Gianèe, il marito, che la accompagnava danzando, cantando filastrocche e percuotendo il terreno con bastoni. Una volta entrati nella stalla, benedivano il controsoffitto con il bastone dove si trovavano i bachi da seta. Come ricompensa ricevevano una cucchiaiata di risotto, che veniva versato nel cappello del Gianèe. Il piatto veniva preparato dalla donna più anziana della famiglia. Durante il giorno i contadini portavano a benedire i propri animali, e sempre durante il giorno venivano preparati i fantocci che rappresentavano la Giabiana e il Gianée che fine giornata venivano bruciati: se il fuoco saliva dritto verso il cielo, la stagione si preannunciava come feconda e propizia. Si ballava intorno al fuoco: girarvi intorno tre volte portava bene e i bambini buttavano dei foglietti con su scritto le cose brutte capitate durante l’anno per far sì che il fuoco le distruggesse.
Con l'avvento del Cristianesimo, la Giubiana passò da figura benefica, simbolo di fecondità, a strega, simbolo del male. Distruggendo la Giubiana il contadino si sarebbe messo al riparo da tutte le maledizioni. Come sempre la Chiesa Cattolica per allontanare la gente dal vero distrugge la positività di una legge creativa qui sul pianeta Terra,  quando pagheranno  tutti coloro che dall'inizio ed ora della menzogna ingabbiano l'umanità nell'Errore e nella Paura!
-Faglia-A.G.7-



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